Quante volte abbiamo sentito questa parola: resilienza. Già dal primo ascolto avrei voluto spaccare un martello in testa a chi l’ha usata la prima volta. Per me è alla stregua di petaloso.
E non perché ci sia qualcosa di male nella parola in sé: di suo è una parola abbastanza bella, con un bel significato. Solo che è diventata la scusa buona per gli sfortunati che riescono sempre a rialzarsi. Spesso un’ottima scusa per commiserarsi e attirare attenzioni di cui si ha tanto bisogno.
Spesso questa parola è usata alla stregua delle citazioni di Bukowski con la foto di un culo: a caso. Per questo chi ha un minimo di conoscenza della parola e del benessere usa resilienza con parsimonia.
Cos’è la resilienza
La parola resilienza ormai ha usi tra i più disparati: si è partiti praticamente da rimbalzare a resistere agli urti e ai traumi a diventare un simbolo di instagram e infiltrarsi nel gergo psicologico.
Non voglio sapere perché sia diventata di moda, ma sospetto che sia perché è una parola che ci fa sembrare intelligenti e ci fa sentire parte di un gruppo: chi tra i vivi può dire di non aver subito traumi, dolori o ingiustizie ed essere sopravvissuto? Praticamente nessuno.
Siamo tutti resilienti. Siamo tutti sopravvissuti al dolore, a ingiustizie, a sofferenze, a malattie di vario tipo. Dunque, possiamo sentirci parte di un gruppo vasto di persone resilienti. Ma davvero, dunque, la resilienza può essere considerata una qualità? Oppure è una cosa che possiedono tutti? C’è forse una sfumatura che è importante sottolineare.
Rimbalzare “positivamente”
La riorganizzazione positiva della propria vita dopo le avversità è forse l’unica cosa degna di nota del concetto di resilienza. Ma parliamoci obiettivamente: è possibile fare il contrario? Immaginiamo una malattia: ci ammaliamo e ci lasciamo travolgere da questa malattia. Ci distruggerà e un giorno finiremo. Come classifichiamo la resilienza o la mancanza di resilienza?
In fin dei conti siamo sopravvissuti, no? Abbiamo portato avanti la nostra quotidianità. Avremo mantenuto nel bene e nel male alcune relazioni. Non siamo morti subito. Allora, non siamo resilienti perché non siamo guariti? Qual è la misura in cui una persona è resiliente e una no?
Solamente una Bebe Vio è resiliente perché campionessa paralimpica senza arti, oppure è resiliente anche la mamma del nostro amico che sopravvive con decine di metastasi per 6 anni e alla fine soccombe?
In una varietà così grande di contesti, è difficile capire cosa è resilienza e cosa invece non lo è. Tutti lo siamo, da qualche lato della nostra vita. E tutti non lo siamo se guardiamo la stessa situazione da un angolo diverso.
Resilienza o antifragilità?
C’è un’altra parola che è diventata di moda ultimamente, quasi quanto resilienza e quella parola è antifragile. Taleb l’ha resa famosa nel suo capolavoro omonimo e credo che questa sia una qualità migliore a cui aspirare, rispetto alla resilienza o anche alla sola resistenza.
Essere antifragile significa fiorire nel caos. Non prendere botte e rialzarsi. Non farsi mettere KO e poi risvegliarsi e andare avanti. Significa attivamente organizzarsi consapevoli del caos che è il nostro mondo e creare una struttura interiore ed esterna che in questo caos sia in grado di fiorire e, ancora di più, di nutrirsi direttamente di questo caos.
La nostra vita è per definizione imprevedibile, quindi le nostre definizioni di “sicurezza” sono tutte fallate: non possiamo prevedere niente, ci vorrebbe troppa potenza di calcolo.
Viviamo per modelli e semplifichiamo la nostra realtà per renderla interpretabile velocemente e in maniera abbastanza fedele. Ma non possiamo sapere se qualcosa succederà che cambierà tutto domani. Alzi la mano chi sapeva che ci sarebbe stato il caso 1 a Codogno il 21 Febbraio 2020 e che quel caso avrebbe dato il via alla pandemia.
Nessuno può prevedere tutto, nessuno può prevedere con certezza niente.
Tranne una cosa: l’aumento dell’entropia.
Fiorire nel caos
L’entropia aumenta col passare del tempo se noi non immettiamo energia in un sistema. La nostra energia è limitatissima, per cui possiamo riportare ordine solo in poche cose, abbiamo influenza solo su piccoli ecosistemi. Dunque dobbiamo per forza accettare che vivremo nel caos.
Questa sarà la nostra quotidianità e ci organizzeremo in modo che questo caos sia per noi un bene. Sia per noi nutrimento e sia per noi forza di trazione nei progetti che attueremo.
A questo punto non prenderemo più colpi e ci rialzeremo, ma prenderemo colpi e questi ci renderanno più forti, ci passeranno direttamente l’energia che è stata messa nel darceli, quei colpi.
Assorbiremo il caos e questo diventerà il nostro ordine. Questo è un tipo serio di resilienza, qualcosa di cui andare orgogliosi e da far vedere al mondo. Io dentro il caos fiorisco e sono felice. Io sono flessibile abbastanza da adattarmi a qualsiasi cambiamento rapidamente. Io non ho l’arroganza di credere di poter comandare l’universo: io sono antifragile, non sono resiliente.
Questo è ciò che dovremmo puntare a dire.
Molliamo la resilienza.
E allora, abbracciamo forte l’antifragilità e lasciamo la resilienza ai tatuaggi e agli stati di Instagram. Costruiamoci una corazza morbida e umana e comprendiamo le esigenze della vita negli anni 20 del 2000 e creiamo un’identità che sia forte, flessibile e invulnerabile ai colpi che la vita inevitabilmente ci darà. Ma come si fa a fare questo?
Come si fa ad essere ben più che resilienti?
I passaggi sono sempre molto simili:
- Si intraprende un percorso di conoscenza di se stessi, veloce e verticale
- Si studia la funzione esponenziale, che sarà sempre più presente nelle nostre vite a causa della digitalizzazione e del punto in cui siamo come società umana
- Si allenano corpo, mente e emozioni
- Ci si allena all’apprendimento veloce attraverso l’esperienza diretta e le azioni prototipo
- Si abbraccia il cambiamento tecnologico e la possibilità che dovremo unirci alla tecnologia invece che usarla.
Lo so, sembra il delirio di un folle. Ma fermati un attimo a pensare, guarda il mondo in cui vivi ora.
Un mondo esponenziale.
Viviamo in un mondo in cui la funzione esponenziale governa molte delle dinamiche principali della società. L’intera tecnologia è basata su questa funzione e l’evoluzione tecnologica segue la curva verticale della progressione geometrica.
Il virus che ci costringe in casa da quasi un anno è diventato quel disastro che è stato proprio perché ha una velocità di espansione vicina o talvolta superiore alla progressione esponenziale.
Il cambiamento climatico seguirà la stessa curva se non cambiamo radicalmente le nostre abitudini in massa (e non lo faremo).
Conoscere questa funzione ci aiuta ad interpretare ciò che succede e ciò che potrebbe succedere. Ci aiuta anche a crescere nella direzione migliore per poter fiorire all’interno di un mondo che funziona in questa maniera.
Se vuoi farti un favore, molla la parola resilienza, cerca l’antifragilità e comincia a prepararti subito.
Noi ci sentiamo alla prossima.